Primo Avvio: Murasaki Baby
Primo Avvio è una rubrica che, come dice il nome stesso, racconta le impressioni a caldo su un videogioco provato per la prima volta. Così, senza pensarci due volte e col senno di poi che anche a distanza di pochi secondi potrebbero rivelarsi sbagliate. Ma non importa, dopotutto stiamo parlando solo di solo di Videogiochi no?
E quindi l’analisi a primo acchito di Murasaki Baby
Murasaki indica nell’idioma giapponese il colore viola. È anche un nome femminile, un po’ come se volessi chiamare la mia ipotetica figlia “Viola” oppure “Violetta”. È altresì un videogioco italiano rilasciato per PlayStation Vita in digital delivery sul PSN – realizzato da Massimo Guarini e il suo team di Ovosonico – il che la dice lunga sul fatto che si tratti di una piccola produzione. Ancor di più se consideriamo il gameplay basilare e i comandi tattili intuitivi: accompagnare per mano – anzi, per dito – una mostruosa bambina con la faccia sottosopra (nel senso che la bocca sta in alto sulla fronte) attraverso una serie di livelli a scorrimento orizzontale assicurandoci però al contempo che il palloncino viola a forma di cuore – viola, coincidenze eh? – non scoppi. Altrimenti ricominciamo dal checkpoint più vicino.
Murasaki Baby è tutto qui. Un platform bidimensionale con enigmi che sarebbe potuto benissimo girare – con eventuali accorgimenti – su uno smartphone o tablet. E proprio come nei tablet ci ritroviamo ben presto a coprire lo schermo di ditate. A volte pure il touchpad posteriore della console, meccanica necessaria per risolvere gran parte degli enigmi ambientali. Sembra quasi di giocare a Twister con PS Vita.
A che pro? Sarà forse per scoprire se alla fine la nostra Ughetta (Fantocci) riabbraccerà la mamma? O per ascoltare il brano cantato durante i crediti alla fine del gioco ad opera di Akira Yamaoka (Silent Hill)? Meh! Passo e chiudo.