Quando Metacritic è dentro di noi
Come far acquistare dignità ad “Alien Colonial Marines”
Il videogioco può influenzare la vita (o almeno qualcuno dei suoi aspetti) di un videogiocatore. Questo è fuori di dubbio, tanto è che DVL ha dedicato addirittura una puntata del podcast all’argomento in questione. Ma è vero anche il contrario. L’esperienza complessiva che un videogioco potrà offrire sarà fortemente condizionata dallo stato psicologico del videogiocatore stesso a prescindere dalla bontà oggettiva del titolo in questione. Eventi della vita reale ad alto impatto emotivo come un lutto, una nascita, un periodo di vacanza, una promozione, un esame passato, eccetera, sono eventi che possono, di fatto, condizionare la fruizione di un videogioco se vissuti in contemporanea all’esperienza video ludica. Il meccanismo risulta evidente nel ricordo dei videogiochi della nostra infanzia. Nella nostra mente sono tutti gioconi memorabili. In realtà la maggior parte di essi sono oggettivamente delle schifezze immonde, ma averli giocati in un periodo spensierato ne ha cambiato ricordo e soprattutto percezione. Altro esempio sono i videogiochi giocati durante le vacanze natalizie o estive. Con alta probabilità il videogiocatore durante tali periodi avrà uno stato mentale “alterato” dalla gioia delle feste, dal poter giocare in compagnia, dall’atmosfera di cambiamento che lo condurrà a predisporsi in maniera positiva verso il videogioco. Ovviamente se un titolo e brutto, tale rimarrà ma il giudizio finale sarà meno severo. Viceversa se giochiamo durante un periodo negativo comportante un forte stress mentale, sicuramente non riusciremo a goderci a pieno il bello che il videogioco potrebbe offrirci. Il rischio in tali casi è che il videogioco non riesca ad assolvere la sua funzione “taumaturgica” di passatempo e di videogiocare, quindi, con il “cuore pesante” a causa delle preoccupazioni. Nella migliore delle ipotesi il videogiocatore inserirà una sorta di “pilota automatico” ed inizierà a giocare meccanicamente con il pensiero rivolto ad altro, penalizzando in maniera catastrofica il godimento che il titolo potenzialmente potrebbe elargire . Personalmente è capitato di giocare a “Fable” del grande Peter Molyneux, in questo stato. Stavo pianificando la costruzione della casa in cui attualmente abito, e fra mutuo, ammortamento, preventivi, notaio, contratti, ero allo stremo delle risorse mentali. La semplicità dei combattimenti e la delusione nel costatare che molte delle promesse fatte da Molyneux ai tempi di “Project Ego” non erano state mantenute hanno contribuito, ma l’aver giocato “distratto” da gravi incombenze ha certamente minato in maniera irreversibile il feeling fra me e il gioco. Come il cane di Pavlov che, a causa dei riflessi condizionati, ogni volta che sente una campanella si ricorda del pezzo di carne e inizia a salivare, io ogni volta che sento parlare di “Fable” mi ricordo di interminabili colloqui di fronte ad uno zelante impiegato di banca ed inizio a trasalire. Come posso apprezzare un videogame se oltre ad averlo giocato male questo mi riporta alla mente, suo malgrado, eventi spiacevoli? Esempio contrario è il caso di “Aliens Colonial Marines“. Questo videogioco non è piaciuto a nessuno ed è stato massacrato dalla critica in maniera pressoché unanime. Additato come un’onta alla serie Alien, lavata nel sangue solo recentemente dall’ottimo “Alien: Isolation“. Averlo giocando durante il periodo natalizio, accanto al camino acceso e all’albero addobbato, con i bambini sereni al piano di sopra a dormire mi ha posto in uno stato di grazia in cui tutto era bello. Perfino “Aliens Colonial Marines”. A quel punto i limiti tecnici, la grafica non pulitissima, la trama scarna e incongruente erano dettagli secondari. Aggiungete che ogni videogioco di Alien mi fa ritornare in mente Natali felici in cui mia sorella, sapendo della mia passione per la saga dello xenomorfo di H.R. Giger, puntualmente mi regalava un videogioco di Alien. Da “Alien 3” per SNes fino ad “Alien VS Predator 2” per PC. Tutti grandi giochi. Giocare ad “Aliens Colonial Marines” è stato un tuffo in uno spensierato Natale passato. Come avrei potuto non godermi il gioco in questione? Qualcuno potrebbe obiettare che, in questo caso, abbia aiutato il detto “Non e bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace” ma qui entriamo in un altro campo lasciando l’obiettivo ed entrando nel soggettivo. La soggettività legata alla predisposizione, ad esempio, verso un genere di videogames anziché altri è un fattore che potrebbe condizionare la percezione di un gioco ma non in maniera marcata come un “alterato” stato mentale del tipo di quelli sopra esposti. Tanto è vero che “Aliens Colonial Marines” ha ricevuto le critiche più feroci proprio dagli amanti degli FPS e dai fan della saga. Potrei continuare facendo decine di altri esempi, ma la conclusione cui giungeremmo sarebbe sempre la stessa. Indubbiamente ci sono dei soggetti che sicuramente risentono meno di questo particolare fenomeno, per cui quando accendono la console o il computer riescono a lasciarsi alle spalle tutti i problemi, ma questa è una dote che si perde con l’avanzare dell’età. Come a voler dimostrare che forse hanno ragione coloro i quali affermano che quello dei videogiochi non è un paese per vecchi…