Gioco Dunque Sono #2: la fantastica monotonia nuda e cruda dei JRPG
“Gioco Dunque Sono” è una rubrica aperiodica che raccoglie pensieri, ricordi e opinioni di un giocatore sulla trentina ancora oggi ossessionato dai giochini elettronici. Qualcuno potrebbe obiettare che si tratti di una scusa per riempire buchi editoriali con esternazioni o farneticazioni nostalgiche di un vecchio. Ecco, appunto…
Parlando di JRPG…
Voglio svelarvi un segreto: a me piace la monotonia. Esatto, mi piace fare sempre le stesse cose. E mi crogiolo dunque nella ripetitività di certi videogiochi, anche perché taluni generi hanno smesso di innovare da anni. Prendete i giochi di ruolo giapponesi. Ne gioco tanti – impiego decine e decine di ore – per fare alla fine cosa? Sempre le medesime cose. Volete un esempio più concreto? Bene, ma attenzione agli spoiler. Proseguite la lettura se avete già terminato il titolo in questione o se proprio siete sicuri che non lo (ri)giocherete mai. Cazzi vostri insomma, io vi avevo avvertito.
La settimana scorsa ho terminato al 100% Bravely Default su 3DS, fido compagno di viaggi estivi. Per chi ancora non lo sapesse Bravely Default è Final Fantasy – quelli classici tipo il primo capitolo, il IV o il V. Se non conoscete la saga interrompete un attimo la lettura dell’articolo e fatevi una cultura qui.
Dicevamo, Coraggiosamente Predefinito – oh, non mi rivolgete quelle occhiatacce, si tratta della traduzione italiana di BabelFish – il JRPG più tradizionale, stereotipato, logorroico e ciclico mai visto. Tanto nella trama quanto nelle meccaniche. Ma oh, a me piace. Perché? Innanzitutto per tutti gli elementi presi col copia&incolla dalla saga Square-Enix: i cristalli, quattro baldi giovani eroi della luce, navi volanti, le limit break, le stesse classi del job system, la stessa nomenclatura di magie, oggetti ed equipaggiamento… insomma pensate ad una qualsiasi cosa che avete già visto in un GdR giapponese e la ritroverete – ci stanno persino i dialoghi opzionali tra i membri del party come nella serie Tales Of di Namco Bandai!
I latini dicevano “omen nomen” – il nome è un augurio, un presagio… ma cosa vi insegnano oggigiorno a scuola? – e infatti il titolo del gioco riflette la meccanica cardine del gameplay oltre che la sua unica, autentica innovazione: i comandi “Brave” (Coraggio) e Default “Predefinito”. Incominciamo dal secondo che altri non è che il comando “Difendi” dei JRPG sotto mentite spoglie. O meglio il comando “Difendi” che, oltre a ridurre i danni subiti, permette di conservare il turno appena sprecato a parare. Se ci pensate… è l’uovo di Colombo! Per equilibrare il gioco non posso conservare millemila turni e poi spenderli tutti in un’unica soluzione – nossignore, non fate i furbetti – difatti il contatore “BP” è limitato superiormente a soli 3 incrementi più il turno attuale (sebbene esistano modi per incrementarlo ma ciò esula dall’articolo di oggi). In modo del tutto contrapposto il comando “Brave” consente di osare, di rischiare “ipotecando” turni futuri che se al termine di essi c’è ancora un nemico in vita dovrò pagare restando “fermo” col personaggio ardito. Ora quest’idea per quanto contorta risulta efficace: incontro casuale, prendo in prestito quattro turni a babbo morto per tutti i personaggi e faccio una strage sin dal primo turno, fine. Il “grinding” la parte noiosa di ogni gioco di ruolo diventa una passeggiata – anzi – un passeggiata di pochi minuti. Tanto più che Coraggiosamente Predefinito ci assiste tenendo traccia di quante battaglie consecutive abbiamo vinto rispettivamente: al primo turno, senza perdere nemmeno un 1 HP, dando il colpo di grazia a tutti i nemici con una sola azione. E più lunga è la combo – perché alla fine di questo si tratta – maggiore è il bonus su punti esperienza e denaro ricevuto al termine di ogni battaglia. Non vi va nemmeno di fare la spola più volte tra l’ingresso di un dungeon e la stanza del boss affrontando tutti quegli scontri noiosi? Nessun problema. Coraggiosamente Predefinito ha un indicatore – aggiustabile sin dall’inizio e in qualsiasi momento – per annullare o raddoppiare il tasso degli incontri casuali.
Il Battle System di Coraggiosamente Predefinito unito al sistema di classi – tutte estremamente utili, dico sul serio – è il pilastro che regge tutta la seconda parte del gioco, quella che incomincia a partire dal Capitolo 5 e ci costringe a ripetere tutti i gli scontri con boss (opzionali e non) e dungeon (solo i quattro templi dei cristalli contano). Altre. Quattro. Volte. Il gioco li chiama mondi paralleli, io riciclo esagerato nonché spudorato di asset.
Anche una persona con la pazienza di Gandhi – e non guardate me perché cascate male – avrebbe interrotto la sua partita per riprenderla… mai. Coraggiosamente Predefinito torna di nuovo in nostro soccorso con il già menzionato e profondo sistema di combattimento – che diventa l’unico motivo per andare avanti, ossia mettersi alla prova e dimostrare a se stessi la padronanza del gioco, visto che i boss si fanno sempre più agguerriti e letali – e tutta una serie di semplificazioni, prima fra tutti la possibilità di terminare la storia saltando subito all’atto conclusivo.
Insomma, per farla breve Coraggiosamente Predefinito non innova niente: ha solo riproposto una serie di elementi visti e rivisti con alcune limature togliendo quelle piccole cose fastidiose oggi anacronistiche. E dopo 138 ore, 56 minuti e 40 secondi – così riporta il mio slot di salvataggio – provo soddisfazione nell’aver fatto per tutto quel tempo sempre le stesse cose, ma fatte bene s’intende. Coraggiosamente Predefinito è come il Gattopardo dei videogiochi di ruolo: dimostra che i presunti cambiamenti avvenuti nel corso degli anni da parte di tutte le produzioni videoludiche del genere hanno adattato i JRPG ad altrettante nuove tipologie di giocatori, senza tuttavia modificare dentro l’essenza e il carattere del gioco di ruolo giapponese.
Ah, ci sarebbe quella storia delle Bevande PS – il sistema di microtransazioni del gioco per ottenere subito turni aggiuntivi in cambio di denaro (reale) sonante – però sapete… nessuno è perfetto.