Dipartimento gioco-educazione

Educazione in un videogame?

Parliamo di videogiochi educativi. Chi ha appena esclamato “che palle!” è invitato a continuare la lettura perché rimarrà piacevolmente spiazzato. Non disquisiremo infatti su giochi del tipo “edutainment” come Big Brain Academy, Mario is missing, Where is Carmen Sandiego, Food Force, Brain Training, Rayman activity center, i vari Disney Interactive, i vari giochi per Wii dedicati all’infanzia e tutto quel fitto sottobosco di software educativo per bambini e scolari.

Se vi dicessi che i giochi educativi di cui parleremo sono Half-Life, Medal of Honor, Zak McKracken … cosa pensereste? “Ecco il solito videogiocatore accanito che vuole equiparare i videogiochi alle opere d’arte”. Sbagliato. Argomento troppo soggettivo per potermi arrogare l’onere di tale affermazione. Ancora una volta siete fuori strada. Credo però che i videogiochi possano essere veicolo di cultura fornendo uno straordinario spunto educativo, alla pari di un film o di un libro. Con la differenza che nell’immaginario collettivo leggere un libro, fosse anche un’immonda schifezza della collana Harmony, è sinonimo di cultura; giocare ad un videogioco, fosse anche Myst, è sinonimo di fancazzismo. La cultura che può infondere il videogioco è suddivisibile in due distinte casistiche.

Educazione negativa
Educazione: Manhunt non aiuta

Primo caso detto anche nozionistico: videogiocatore in età preadolescenziale, diciamo dai 7 anni fino ai 13. Troppo spesso il genitore si limita a comprare il videogioco che ritiene educativo, parcheggia il figlio davanti al monitor e lo fa giocare da solo lavandosi la coscienza. Di solito appena il papà lascia la stanza, la creatura si carica Manhunt ed invece di infilarsi nei meandri del sapere, infila sacchetti di plastica in testa a poveri png. Non è questo l’approccio. Buttate via gli edutainment, ignorate il PEGI, sedetevi accanto al pargolo e giocateci insieme. Essendo il fanciullo non ancora in età adolescenziale non dovrebbe mandarvi a fanculo con frasi del tipo “Vai via vecchio che sto giocando”. Se dovesse farlo, forse, avete sbagliato qualcosa nell’impostazione educativa del vostro bimbo. Potete smettere di leggere e chiamate i servizi sociali.  Forse riuscite ancora ad evitare la morte a colpi di nano da giardino che vostro figlio, una volta cresciuto, v’infliggerà perché gli avrete negato 5 euro. Se vostro figlio, invece, accetta di buon grado la vostra compagnia, allora è fatta. E’ essenziale che questa cultura venga trasmessa da un genitore che, affiancando il figlio nel videogioco, colga le opportunità educative che lo stesso offre. Ovviamente, a tale scopo, ci sono giochi che si prestano benissimo, altri che non si prestano affatto. Facciamo alcuni esempi, anche ripercorrendo quella che è stata la mia personalissima esperienza.

Mio padre, appassionato di videogiochi e tecnologia, ha sempre avuto piacere a giocare col piccolo Luca. Erano i tempi in cui il C64 spopolava. Silent Service della Microprose era uno dei giochi che preferivo. Si trattava di un simulatore di guerra navale creato da Sid Meier, curato nei minimi dettagli. Ai comandi di un sottomarino americano impegnato in operazioni di pattugliamento dell’Oceano Pacifico durante la Seconda Guerra Mondiale dovevi cercare di affondare quante più navi trasporto giapponesi possibile. Le procedure di navigazione dei convogli nipponici, composti da navi cargo e navi di scorta, erano riprodotte alla perfezione. Riuscire ad affondare, anche una sola petroliera evitando i cacciatorpediniere di scorta era un’impresa titanica. Era essenziale districarsi fra mappe navali, impostare la rotta, tenere d’occhio la quantità delle scorte di munizioni e carburante, e tanto altro ancora. Con l’aiuto del mio papà e con il pretesto del gioco, imparai i punti cardinali e come essi siano rappresentabili in gradi, mi appassionai all’approccio ragionato che era necessario avere, conobbi il principio di Archimede e la sua applicazione tramite casse di zavorra, ebbi notizia di un conflitto di cui avevo solo sentito parlare a scuola e che mi aveva lasciato indifferente. E questo fu solo l’inizio. Come ogni bambino ero curioso. E quindi facevo domande. Anche a monitor spento. Spesso la discussione continuava a tavola e se avevo la fortuna di aver i nonni come ospiti allora si apriva un mondo. Mi veniva raccontata la guerra come loro l’avevano direttamente vissuta. Seppi che mio nonno paterno era imbarcato sulla corazzata Vittorio Veneto e che più volte aveva combattuto contro quei sommergibili che io stavo controllando nel gioco. Erano anche stati colpiti più volte e sempre erano riusciti a cavarsela. Seppi che la nave era basata a Taranto durante il famoso attacco degli aerosiluranti Inglesi e per miracolo fu l’unica ad uscire indenne dal disastro di quella notte che quasi ci azzerò la flotta. Che se eravamo americani ci avremmo fatto un film tipo Pearl Harbour, anche se loro sono furono colti di sorpresa perché ancora non in guerra, noi fummo colti sorpresa perché non credevamo che si potesse attaccare di notte (incredibile, ma vero) e perché non sapevamo cosa fosse un radar (nonostante i nostri alleati tedeschi li usassero già abitualmente). Poi nel 1943 dopo l’armistizio, con la nave basata a La Spezia per fuggire ai rastrellamenti nazisti, mio nonno scappò per le campagne compiendo un rocambolesco viaggio dalla Liguria alla Puglia. E mentre descriveva di questo viaggio e degli orrori della guerra, al racconto si univa mia nonna. L’angoscia dell’attesa del marito, la mancanza di notizie, l’Italia divisa in due, la guerra civile, la solidarietà che si dava a tutti i soldati amici e nemici, perfino ai tedeschi perché “anche loro erano figli di mamma”.  Seppi che mio nonno materno al ritorno dalla patetica campagna di Grecia, quando i tedeschi passarono da alleati a nemici, fu catturato dai nazisti, imbarcato su una nave trasporto truppe per essere deportato. Proprio quelle navi trasporto truppe contro cui mi accanivo in Silent Service. Solo la prontezza che ebbe nel saltare, appena la nave fu fuori dal porto, e nel raggiungere a nuoto la costa gli salvò la vita. Il cugino, che non sapeva nuotare non saltò. Di lui non si seppe più nulla. Molti decenni dopo, i carabinieri si presentarono a casa, per consegnare divisa ed effetti personali del povero cugino, indicando il cimitero di guerra dove era stato sepolto in Germania. Seppi di mia nonna, presa a fucilate dai fascisti, di giorno e nella piazza principale, solo perché il padre (mio bisnonno) era a capo della Sezione del Partito Comunista del paese. Un colpo gli fece volare via il tacco della scarpa, qualche millimetro più sopra e la vigliaccheria dell’uomo avrebbe fatto un’altra vittima. Lì presi coscienza della barbarie della guerra, capii a fondo la storia. Riflettei su quanto labile è il filo che ci lega a questa terra. Sarebbe bastato che il siluro avesse affondato la nave, che quel salto non fosse riuscito, che quel colpo non fosse finito così in basso, ed io adesso non sarei qui. E tutta questa conoscenza e consapevolezza era scaturita da un videogioco che agli occhi di un distratto fruitore sarebbe apparso come “un giochino che si sparano i missili contro le navi”. Ovviamente l’avrei pensata anch’io così se non avessi avuto la guida di un genitore. E di videogiochi che mi hanno permesso di ottenere questo tipo di esperienza, fortunatamente, ce ne sono stati parecchi. Legions of  death, bellissimo gioco sulle Guerre Puniche. Fino ad allora non avevo idea di cosa fosse una triremi e di dove fosse Cartagine.

Educazione: milioni di persone hanno imparato a travestirsi grazie a Zac McKraken
Educazione: milioni di persone hanno imparato a travestirsi grazie a Zac McKraken

 Road to Moscow, semisconosciuto strategico sulla campagna di Russia. Nam, altro strategico dell’indimenticabile S.S.I. (Strategic Simulation Inc, quelli della trasposizione su Computer di Dungeons & Dragons per intenderci), che mi gettò nel vivo dell’angosciante guerra in Vietnam. Falcon Patrol I e II, ispirati alla Guerra del Kippur, fra arabi ed israeliani. The dam busters, simulatore di bombardieri Lancaster, ricreazione videoludica dell’operazione Chastise. Storia incredibile. Leggetevela su Wikipedia, in inglese possibilmente, perché ne vale assolutamente la pena. North & South giocosa ricostruzione della Guerra di Secessione Americana. Deus Ex Machina viaggio introspettivo nell’autodeterminazione umana. Maniac Mansion e Zak McKracken famosissime avventure grafiche della LucasArt. Occorre ricordare che un tempo le localizzazioni erano rare. I giochi erano esclusivamente in inglese. L’interfaccia SCUMM è stata lo strumento didattico più utile per farmi comprendere la lingua dell’Albione. Altro che viaggi studio in Inghilterra. Logical, puzzle game che mi impegnava in furiose sessioni contro mio padre per far esplodere l’ultima ruota girevole. Ottima palestra per le plasmabili meningi di un bambino. Rileggendo questa breve lista, mi rendo conto di come la stessa sia quasi esclusivamente composta di giochi di guerra. L’uomo è un animale sociale. E la guerra è l’espressione più estrema di questa socialità. Che tristezza. Potrei andare avanti per ore. Ma mi fermo qui, credo di aver fatto capire il senso.

Secondo caso detto anche emozionale, il videogiocatore ha dai 14 anni in su (è proprio vero che non si finisce mai di imparare). Rispetto al primo caso, questo assume un carattere più intimista. Il videogioco non è più solo contenitore o stimolatore di nozioni ma è un tramite per escursioni metafisiche, un trasmettitore di sensazioni e situazioni altrimenti non provabili. Andiamo ad esemplificare. Half-Life 2, la sensazione di oppressione che permea il mondo distopico in cui si svolge il videogioco è tangibile. La terra sotto il dominio dei “Combine” riporta alla mente film come Schindler’s list o libri come 1984 di Orwell. Essere braccati dagli alieni e fuggire per i tetti di una città che volutamente ricorda quelle europee sotto il dominio nazista. Le stesse divise dei Combine sono simili a quelle tedesche. Non è un caso. E’ tutto voluto. Homeworld della Sierra. Uno degli strategici fantascientifici più belli di sempre. La storia fortemente allegorica riporta alla mente diaspore di popoli, dissolvimenti della propria patria, persecuzioni per mano di quelli che si credevano alieni ma che alla fine si rivelano essere antichi fratelli. Le due razze in lotta Taiidan e Kushan ripercorrono la storia che sembra essere quella di Ebrei e Palestinesi. Nemici mortali ma in fondo appartenenti alla stessa razza. Anche qui, è tutto voluto. Il parallelo non è così ardito come potrebbe sembrare. La serie Close Combat della Microsoft. La cui documentazione e manuali nulla hanno da invidiare ai testi di storia. Tutti i videogiochi dedicati ai libri di Tom Clancy (e sono tanti), alcuni dei quali sono vere e propri romanzi in video. Outlaws della LucasArts, palesemente ispirato ai capolavori di Sergio Leone. Medal of Honor (il primo) che ti scaraventa in piena Omaha Beach sbattendoti in faccia la brutalità della guerra. Day of Tentacle, che se pur in maniera sarcastica ti dà un’infarinatura circa la Guerra di Indipendenza. Call of Duty, uno a caso tanto neanche la Activision li distingue più, può essere vissuto come uno sparatutto in cui devo solo mirare e sparare o come riflessione su quanto sia brutale ed assuefatto alla violenza l’uomo. Blade Runner, che dal videogioco ti trasporta prima nel film e dopo nel libro di Philip K. Dick. Con una sola domanda. Quanto siamo diversi dagli androidi? Se non esiste un aldilà, i miei ricordi e le mie esperienze andranno persi come lacrime nella pioggia proprio come i loro. Fahrenheit, Heavy Rain e Beyond: due anime dove l’iconografia della morte è sempre presente. La domanda è sempre quella chi siamo? E soprattutto dove stiamo andando? Ed anche questa lista potrebbe continuare all’infinito.

Adesso venitemi a dire “sono solo videogiochi, ma quale cultura sono solo passatempi”. Questo è in parte vero, ma come ogni opera dell’intelletto umano sta a che ne fruisce coglierne le sfaccettature. E’ come il libro “La metamorfosi” di Kafka o il film “Stalker” di Tarkovskij. C’è chi arriva a metà dicendo “che puttanata galattica” e c’è chi, invece, ne rimane affascinato per tutta la vita. Qualcuno dirà che sto bestemmiando, ma per me, fra David Cage, Franz Kafka e Andrej Tarkovskij non c’è nessuna differenza. Il creatore di videogiochi è un creatore di mondi immaginifici come scrittori e registi e come tale merita tutto il nostro rispetto. Lo scopo di un videogioco è sempre divertire (come romanzi e film d’altronde…), questo sia chiaro, ma gli spunti di riflessione ci sono eccome ed anche ben visibili, sta a noi coglierli per godere appieno di tutto quello che l’esperienza videoludica può offrire intrattenimento a parte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *