Star Wars – Storie di vecchie repubbliche

Star Wars: Knights of the Old Republic

Star Wars: SwtOR, figlio di KotOR II, nipote di KotOR I…

Era Il 2003 quando  tra  luglio e  novembre veniva lanciato sul mercato “Star wars: knights of the Old Republic” rispettando qualche mese di esclusiva temporale a favore della prima XBox (pratica in generale veramente odiosa). Sviluppato da Bioware (che allora era ancora lungi dall’essere sottoposta agli alti canoni casual/bimbominkiesti richiesti da EA) e pubblicato dalla Lucasarts (ma dai?) era il primo lavoro videoludico basato sul mondo fantascientifico di Lucas che avesse regole da GDR; KotOR prendeva direttamente spunto dalle regole di “Dungeons & Dragons” (terza edizione) e il suo mitico dado da 20 facce (d20) in una versione riadattata da “wizards of the coast” per un loro gioco chiamato, con un impeto di fantasia, “Star wars – The roleplaying game” nei primi anni del nuovo millennio. La storia era quella di un uomo (o donna a seconda della scelta che si faceva) impersonato dal giocatore che si ritrova a fuggire dai cattivissimi Sith, studiare da Jedi, diplomarsi  e salvare la galassia. Ma anche no, visto che era previsto, come d’uopo nella maggior parte dei GDR, la possibilità di scegliere un sentiero malvagio e diventare il cattivo per eccellenza, colui, cioè, che all’inizio si voleva sconfiggere. Le meccaniche del gioco erano tutto sommato semplici: esplora, parla, combatti. In realtà il risultato finale fu un Capolavoro, e non si può usare parola diversa, che ancor oggi regge il confronto; il protagonista veniva lanciato in una corsa contro il tempo per fermare un’invincibile e misteriosa flotta Sith uscita fuori da non si sa dove. Nel fare ciò si ritrovava ad avere alleati improbabili quanto micidiali e peculiari come l’androide omicida HK-47, e ad imbattersi in una misteriosa civiltà estinta migliaia di anni prima che, durante il suo regno galattico, sembrerebbe averne segnato indiscutibilmente il suo futuro sviluppo. Scontri forsennati, corse di sgusci, tombe antiche, vestigia di dimenticati popoli in una trama che tiene col fiato sospeso fino all’ultimo secondo erano gli ingredienti base per questa fanta space opera. Il protagonista poteva, come detto, scegliere il modo in cui affrontare tutta l’avventura, diventando uno Jedi impeccabile oppure facendosi traviare dal lato oscuro e cercando di diventare il nuovo signore dei Sith; ciò era possibile attraverso le scelte, i dialoghi e le azioni intraprese durante il gioco, opzioni che si sarebbero riversate anche sui propri compagni su cui avremmo acquisito o perso, in base alla loro morale, lealtà. Tale lealtà, qualora fosse arrivata ad un certo livello, avrebbe sbloccato subquest uniche o portato a schieramenti trasversali nel finale che avrebbero costretto il giocatore a scontri mortali coi propri ex alleati oppure a storie romantiche con alcuni di essi. Ovviamente ogni personaggio era diverso dall’altro e con una sua specifica indole ed abilità, per cui, come in ogni buon GDR, era necessario trovare la giusta alchimia per avere un gruppo poliedrico adatto ad ogni evenienza. Per quanto concerne i combattimenti duri e puri questi erano svolti attraverso una catena di comandi (cinque al massimo) che venivano impartiti ai membri del party; attacco con spada o blaster, lancio di granata, cura, potere Jedi  e così via  coadiuvati tutti dall’uso attento della pausa tattica seguendo quello che era lo stile di gioco e la classe dei personaggi del gruppo.

Star Wars: Knights of the Old Republic 2
Star Wars: Knights of the Old Republic 2

Tale modalità fu riportata in toto e leggermente migliorata nel seguito diretto uscito tra il dicembre 2004 e il febbraio 2005 (dannate esclusive temporali); “Star wars: Knights of the Old republic II – The sith Lords” aveva il titolo lungo come lunga era la lista di signori oscuri che avremmo incontrato durante quest’avventura, ben quattro! Come il suo predecessore sfruttava il motore grafico “odissey engine” anche se migliorato, motore  proprietario della Bioware, ma lo sviluppo fu affidato alla Obsidian perché, pare, loro avessero in ballo quello di “Jade empire” e “Dragon Age” e proprio non gliela facevano a stare dietro al progetto.

La storia si svolge cinque anni dopo quelli narrati da KotOR I e dal suo predecessore, oltre che la mitica nave “Ebon Hawk” utilizzata per gli spostamenti cosmici ed alcuni personaggi che ritornano in scena, riprende direttamente quelli che sono gli esiti delle decisioni prese dal giocatore durante lo svolgimento del primo capitolo; non essendo ancora possibile un’importazione diretta dei salvataggi la Obsidian utilizzò un metodo semplice quanto geniale. Nelle fasi iniziali del gioco, infatti, ci si imbatteva attivamente in alcuni dialoghi in cui si poteva decidere il sesso del protagonista, le vicissitudini e il finale della precedente avventura così come le avevamo vissute col nostro avatar e da lì muoverci di conseguenza. In questo nuovo capitolo avremmo avuto più oggetti ed armi da modificare, un’opzione che permetteva ai compagni di passare automaticamente dalle armi a lunga distanza a quelle a corpo a corpo (ma non viceversa) in caso di necessità e soprattutto “l’influenza”. Non sto parlando di una malattia virtuale, ma di quell’ascendente calcolato in base a rigidi algoritmi che veniva applicata ai companions. Diversamente da KotOR I ci veniva data la possibilità, compiendo azioni consone e facendo dialoghi ad hoc, di influenzare i membri del party tanto da far loro migliorare delle caratteristiche o addirittura instradarli all’addestramento da Jedi o Sith per farli diventare nostri discepoli; i “punti influenza” necessari per questa features erano però parecchi e molti giocatori sembra che avessero finito il gioco senza neanche scoprire tale possibilità, io stesso, infatti, ero convinto che fosse possibile addestrare solo un compagno e non tutti e cinque quelli che erano previsti dai programmatori. Malgrado le implementazioni il gioco non ha surclassato il suo “papà” anche se in generale è stato accolto caldamente e ha dato vita ad un “zoccolo duro” di fans che si auspicava un  “KotOR III” nel giro di un paio di anni. In realtà i fans hanno dovuto aspettarne sei di anni per avere un sequel che almeno nel nome stuzzicasse la fantasia dei più. Nel Dicembre del 2011 vedeva la luce “Star wars: the Old Republic”

Star Wars: anche Bioware si butta nel multiplayer
Star Wars: anche Bioware si butta nel multiplayer

un MMORPG targato nuovamente Bioware (stavolta in versione svuotatasche alla EA) in terza persona che si svolge 300 anni dopo il secondo capitolo. La trama sembra slegata dai suoi predecessori anche se ci sono continui riferimenti al passato: essendo un gioco multiplayer il protagonista può scegliere diverse classi di partenza sia come membro della repubblica, sia come membro dell’impero Sith ognuna con un antefatto diverso e con un’ambientazione iniziale differente. Lo scopo sarà lo stesso per ogni membro della fazione scelta con storie leggermente diverse a seconda se si è deciso di interpretare uno Jedi anziché un soldato, per esempio, ma il finale sarà più o meno ugulae per entrambi. Per raggiungerlo dovremo, come di consueto, parlare con NPC e trarli d’impaccio risolvendo problemi più o meno grossi, e divagarci in subquest colorite.

La bellezza intrinseca del multiplayer che io non capisco.

Il problema dei giochi multiplayer, per quanto mi riguarda, è che sono multiplayer. Essendo in sostanza delle macchine succhiasoldi, che se i videogiochi sono macchine succhiasoldi già di loro il multi è peggio all’ennesima potenza, ogni azione e feature presente è pensata per trarre un profitto più o meno grande e in qualche modo tutto il resto diventa un contorno. Innanzi tutto dovrei parlare della crisi in cui si è trovato quasi subito il gioco causata dall’ingordigia dalla poca economicità dell’abbonamento mensile che si attestava a ben 15 dollari. Capito bene? 15 dolla al mese, quando ci è stato insegnato che dopo un po’ di trattativa per 10 dolla ci sono ragazze che fanno amore lungo lungo!!! Questo non poteva non riflettettersi sul gradimento di SwtOR che è stato sin da subito basso e ha costretto Bioware a rilasciare una versione free-to-play che permetteva al personaggio del giocatore di arrivare fino al livello 15. Risultato? Un trequarti di fallimento. Da Novembre 2012 è stata, quindi, convertito a gioco freemium in cui è possibile approcciarsi gratuitamente, seppur con notevoli limitazioni, e creare fino ad un massimo di due personaggi che, però, si possono portare fino al livello 50, il massimo concepito. Ovviamente avendo una campagna simil single player ho attivato un mio account e il mio Jokonnoh versione Star Wars ha preso vita.

Star Wars: Jokonnoh nella vecchia repubblica
Star Wars: Jokonnoh nella vecchia repubblica

Il mio pensiero è stato: “ma si freghiamocene della componente multigiocatore e buttiamoci nell’avventura in singolo”; ho cominciato quindi ad arrancare come giovane Padawan  alla ricerca della promozione a cavaliere Jedi intraprendendo le tre prove fondamentali per il passaggio di classe. Una volta ottenuta la mia spada laser attraverso le prime missioni-tutorial sono stato immesso nel main plot che mano mano mia ha regalato un primo compagno, un Trandoshan sibilante, e alla fine mi ha portato a possedere una nave spaziale in grado di farmi muovere per la galassia in cerca di nuove quest. Nel gioco sono poi presenti delle avventure che si si consiglia caldamente di affrontare in gruppo (di solito non più di quattro) nelle quali si possono ottenere ovviamente esperienza ed oggetti. Inoltre ci sono eventi speciali e battaglie spaziali, insomma una mole enorme di cose da fare.

Castrazione freemium

Tuttavia qui entrano in gioco le limitazioni freemium. Per esempio non è possibile partecipare a più di una battaglia stellare a settimana, gli slot di inventario sono limitati come è limitato il numero delle ricompense disponibili a quest terminate; inoltre avremo una crescita del personaggio più lenta a causa di un minor numero di punti esperienza ottenuti e non ci sarà possibile avere un posto dove riporre gli oggetti di inventario che non ci servono ma di cui non volgiamo fare a meno. Insomma è un modo come un altro per attirare iscrizioni e sperare nelle microtransazioni che permettono di ottenere oggetti e features a pagamento, come per dire: “vabé, 180,00 euro l’anno non me li dai ma almeno qualche decina di euro li rimedio lo stesso!”. Malgrado queste grosse limitazioni il titolo è giocabile, anche se, ovviamente, non apprezzabile appieno; tuttavia dopo diverse ore di gioco Star wars: the Old Republic non mi ha conquistato. La sua natura multiplayer costringe il giocatore a diluire la propria esperienza di gioco tra una main quest che tarda ad appassionare e deathmatchs di pura confusione che solo il gioco online sa regalare.

Io non sono un amante del multiplayer, lo ammetto, mi sono sempre sentito poco immedesimato nel affrontare un’avventura in cui ci sono altri giocatori umani, sarà perché vedere duecento personaggi che corrono all’impazzata a destra e a manca che compiono la stesa missione non è il massimo, è come essere spodestati dal trono del protagonista. Mi sento un comprimario, uno dei tanti che ripete meccanicamente le stesse azioni che altri hanno già fatto ed altri ancora faranno dopo di me. Lo so questo succede anche se si gioca da soli, ma almeno non si spezza “l’incantesimo”, insomma non c’è nessuno che me lo può ricordare. Inoltre la natura competitiva del multiplayer rende il livello di sfida appena al di sopra del minimo accettabile in quanto la “morte” del proprio personaggio è sostituita da un respawn in pochi secondi che rende la tensione pressoché inesistente il che, unito ad un livello di difficoltà livellato verso il basso, porta spesso allo sbadiglio; il livello di tattica presente dei primi due capitoli offline è, di conseguenza, completamente assente sostituito da un forsennato cliccare e digitare sulla tastiera cercando di imbroccare l’abilità giusta nella speranza di abbattere il nemico prima di essere uccisi. Qualora accadesse saremmo comunque resuscitati e ributtati nell’azione senza neanche l’aiuto delle sfere del drago! Il concetto di salute è poi del tutto relativo in quanto comunque si rigenera con l’apposita abilità di default utilizzabile tra uno scontro e l’altro e rende di fatto i medikit utili solo in battaglia, peraltro senza neanche che facciano troppo la differenza. Star Wars nella sua versione online, insomma, non mi esalta per niente e la ripetitività di alcune sue sub quest, del tipo uccidi “X” soldati o animali nell’area “Y”, rendono il tutto piuttosto scialbo. Nella mia (scarsa) esperienza nell’universo multiplayer, in conclusione, nulla mi ha entusiasmato e fatto appassionare e questo capitolo di guerre stellari non ha fatto altro che confermare questa mia poca attitudine al trastullo cooperativo in rete. Voglio essere il “re della collina”, il protagonista assoluto delle storie che gioco, voglio che gli altri non rovinino l’atmosfera e mi ricordino che è solo un passatempo molto elaborato. Forse un giorno Obsidian o Bioware, anche se un po’ quest’ultima oggi mi fa paura, torneranno a sviluppare un degno seguito che faccia dimenticare questo passo falso perché, nel frattempo, più gioco SwtOR piu mi viene voglia di reistallare i vecchi. Dopotutto la stessa Obsidian ha detto che era interessata alla cosa e recentemente aveva preso in considerazione di sottoporre alcuni progetti alla Disney per vedere cosa ne sarebbe uscito fuori. Ho detto Disney? Siamo fregati.

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