La dissonanza ludonarrativa, perché i videogiochi non devono per forza tendere al realismo

La dissonanza ludonarrativa

La dissonanza ludonarrativa: il realismo nei videogiochi.

Uno degli argomenti ciclici che ogni tanto fa capolino nei salotti dei videogiocatori borghesi è il grado di realismo raggiunto da alcune produzioni blasonate nell’ultima generazione dell’intrattenimento digitale. Ma sono castronerie: è la dura realtà. I videogiochi non sono affatto realistici. Chissà, forse lo diventeranno in futuro. Oppure no.
Quel fantastico sparatutto che vi state apprestando a giocare in questo momento avrà pure spettacolari esplosioni ed inquadrature nel quale i cattivi tirano le cuoia in modalità mai viste prima, ma non sussiste alcuna armonia tra l’esperienza ludica (e il gameplay) portato avanti dal giocatore e l’elemento narrativo (la storia) raccontata dagli sviluppatori. Questa disparità prende il nome di dissonanza ludonarrativa.

Premessa: non ho inventato il termine, anche se mi sarebbe piaciuto. Secondo Clint Hocking, ex Creative Director di LucasArts e Ubisoft Montreal (recentemente passato a Valve), il titolo di quest’articolo definisce la situazione generata da un videogioco allorché quest’ultimo veicola il giocatore nel perseguire un obiettivo ai fini della narrazione ma si contraddice improvvisamente attraverso il gameplay.

La Dissonanza ludonarrativa in Bioshock
La Dissonanza ludonarrativa: uccidere o no le sorelline? I figli unici sono avvantaggiati nella scelta morale

Il risultato? Beh, l’immersività va a farsi benedire e il giocatore pian piano si ritrova disconnesso dall’esperienza perpetrata. Credetemi, è una brutta cosa, non importa se ne siamo consapevoli o meno.

Non volendo scomodare l’esempio di Hocking citato nel suo articolo (una breve disamina su BioShocksoffermiamoci un attimo su Max Payne 3. Se avete già letto la recensione possibile del Distruggitore saprete che il buon Max soffre di depressione a livelli catatonici, e pertanto tracanna fiumi d’alcool e manda giù antidolorifici manco fossero caramelle. Praticamente ogni sequenza non interattiva del gioco enfatizza il suo stato da relitto umano. Poi però incomincia l’azione e il controllo passa al giocatore, che non percepisce alcuna difficoltà a mirare ai cattivi o tuffarsi per evitare di restarci secco. Per un personaggio che soffre di frequenti emicranie e altri sintomi poco piacevoli tutto ciò è assolutamente contraddittorio, non trovate? Perché controllare Max come un qualsiasi eroe stereotipato di qualsiasi sparatutto in terza persona?

Cambiamo esempio e passiamo a Mass Effect. Sì, ne abbiamo trattato ad libitum, ma cercate di fare un piccolo sforzo. Probabilmente una delle caratteristiche distintive della serie sono le possibili scelte da Eroe o Rinnegato in grado di conferire al proprio Comandante Shepard un’aura da boy-scout o bastardo galattico. Eppure, per quanto ci sforziamo di compiere scelte moralmente discutibili come uccidere qualcuno senza che si riveli assolutamente necessario o rispondere con toni tutt’altro che amichevoli durante le numerose conversazioni il nostro alter-ego digitale sarà sempre considerato il messia dell’intera galassia. Non ci sarà mai nessun personaggio non giocante che vi rinfaccerà di aver appena fatto il passo più lungo della gamba e varcato la linea di demarcazione tra eroe ed anti-eroe. Perché in fondo, sarete sempre visti come uno dei buoni.

Le motivazioni di questa disparità tra la narrativa e l’elemento ludico esistono in Mass Effect (e in tantissimi altri giochi) semplicemente perché è difficile realizzare un videogioco nel quale ogni nostra minuscola (e apparentemente irrilevante) azione influenzi l’esito finale. O per essere più precisi, gli sviluppatori solitamente permettono al giocatore di modificare il risultato su scala ridotta, purché si lasci inalterato lo schema generale degli eventi. In questa maniera si elargisce un controllo parziale senza essere costretti a raccontare una storia diversa da quella concepita in fase di produzione.

La dissonanza ludonarrativa: tanto alla fine siete sempre buoni
La dissonanza ludonarrativa: tanto alla fine siete sempre buoni

Siamo quindi trovato il colpevole: gli sviluppatori. Affinché in un gioco si abbia la perfetta sinergia ed equilibrio tra gameplay e narrativa gli sviluppatori dovrebbero consegnare nelle mani dei giocatori il controllo totale sulla storia. E ciò richiederebbe di progettare e plasmare un mondo dove potrebbe ipoteticamente accadere ogni cosa, fornendo gli strumenti affinché ciò avvenga! Pensateci bene, non sarebbe grandioso? In teoria sì, ma in pratica difficilmente accadrà. Perché, capricci artistici a parte, gli sviluppatori vorranno essere sempre gli artefici assoluti dell’esperienza del giocatore, raccontando la loro storia. È questo il motivo per cui ogni videogioco moderno più essere portato a compimento se investiamo tempo sufficiente alla causa. Gli sviluppatori non cederanno mai all’idea che la loro storia può essere raccontata se e solo se il videogiocatore riesce a soddisfare un insieme di prerequisiti senza deviare dalla “retta via”.

Pensate adesso a Dead Space. Il gameplay cerca disperatamente di trasmettere sensazioni di terrore e solitudine che la narrativa prova in ogni modo a veicolare. Ma soprattutto il gioco concentra i propri sforzi guidandoci verso un’unica direzione, in maniera lineare, senza permettere al giocatore di compiere delle “autentiche decisioni” in grado sgretolare l’esperienza generata. Vogliamo rifiutarci di attivare il sistema automatico per distruggere gli asteroidi che si stanno avvicinando pericolosamente all’USG Ishimura? Non possiamo farlo a meno di smettere di giocare e rinunciare al resto della storia.

Ma qual’è allora la soluzione a questo dilemma? È possibile minimizzare oppure eliminare completamente la dissonanza ludonarrativa nei videogiochi? Si potrebbero sviluppare giochi in continua evoluzione, in grado di reagire completamente ad ogni possibile azione effettuata dal giocatore. In questo modo gli sviluppatori anziché focalizzarsi sul racconto di una storia particolare fornirebbero ai giocatori i mezzi per crearne di proprie. Purtroppo al momento si tratta di fantascienza, perché con le attuali limitazioni tecniche ed economici quest’ipotesi non sembra neanche lontanamente realizzabile. In alternativa gli sviluppatori potrebbero creare produzione nel quale noi (i videogiocatori) non possediamo neppure il minimo controllo.

La dissonanza ludonarrativa in Max Payne
La dissonanza ludonarrativa: per vivere l’esperienza reale in Max Payne 3 dovreste giocarvi il fegato

Ciò eliminerebbe definitivamente il rischio di uscire dal sentiero battuto dagli sviluppatori. E sarebbe unicamente responsabilità di quest’ultimi assicurarsi che la disparità tra gameplay e storia non sussista. Certo, sembra facilmente ottenibile con pochissimo sforzo e un po’ di attenzione ma a questo punto il gioco vale la candela? Sareste davvero disposti a sacrificare ogni possibile grado di libertà e d’esplorazione offerti dai giochi attuali pur di eliminare la dissonanza ludonarrativa?

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