Recensire o non recensire, questo è il problema

recensire oggi

Recensire può dar adito a crisi di coscienza? Per Bertoni si.

Una delle domande che sempre più spesso mi capita di pormi nel momento in cui mi ritrovo a dover recensire un determinato titolo è se e come il mio giudizio possa influenzare o meno il suo impatto sul mercato.
Intendiamoci: nessuna presunzione di onnipotenza, ma semplice riflessione su quanto il giocatore medio attenda o meno il giudizio di qualcuno che ritiene “competente” a giudicare per poi procedere al proprio acquisto; una sorta di approvazione (o stroncatura) papale capace di avere lo stesso valore delle chiacchiere fatte con l’amico di turno e che a volte, purtroppo, è assente per il videogiocatore medio.

Questo particolare paradigma ideologico raggiunge il suo apice per quei titoli che in questa sede chiameremo come “day one”, ovvero giochi il cui hype, di fama o di marketing, è tale per cui per la maggior parte dei giocatori risulta necessario avere le idee chiare ben prima della sola possibilità di poter definire l’acquisto fisico.

Recensire
Recensire: c’è anche il videotutorial

Preso coscienza della questione, il passo successivo di questo ragionamento ci pone di fronte alla sempre più drammatica constatazione che una certa fascia di titoli, fra cui una percentuale non indifferente è rappresentata proprio dai “day one”, nel momento della sua uscita è “invalutabile” o meglio presenta una serie più o meno grande di debolezze strutturali tali per cui la sua essenza è profondamente diversa da quella che sarà da lì a qualche mese.

Ora, partendo dalla premessa che la maggior parte dei videogiocatori che possano definirsi tali sono ben consci di questa realtà, risulta quasi paradossale apprendere che, a dispetto di un ragionamento logico, tutti vogliono una recensione nell’istante zero (o ancora meglio zero meno x, dove x è uguale ad un lasso temporale variabile) per poter decretare se il proprio portafoglio debba aprirsi o meno.

Il compito del recensore risulta così arduo: da un lato deve cercare di cogliere l’essenza del gioco, riuscendo ad andare aldilà di tutta una serie di bug più o meno importanti che in qualche modo ledono l’esperienza complessiva; dall’altro deve riuscire ad ottenere questo risultato nel minor tempo possibile, fattore che determina il successo commerciale di una recensione rispetto ad un’altra.

Capite bene quindi che il contrasto fra queste due diverse esigenze pone in primo piano l’importanza dell’etica all’interno del mestiere del recensore: lodare un titolo che dopo quattro ore di gioco risulta ingiocabile a causa della mancanza di un certa riga di codice, scordata chissà dove da qualche aitante programmatore, è un atto di profonda ingiustizia, capace di determirnare un successo “boomerang”, non veritiero circa la bontà complessiva del prodotto.

Dall’altro, parimenti, stroncare senza pietà un gioco solo perchè ogni tanto il tutto crasha a causa di un’instabilità qualunque (che potrei definire emotiva, ma sarei troppo estremo) sarebbe lesivo nei confronti dello sforzo lavorativo fatto da chi quel gioco lo ha prodotto e soprattutto poco consapevole delle dinamiche produttive oggigiorno imposte dal mercato.

Quale soluzione quindi? Una, sicuramente interessante ma impraticabile, potrebbe essere quella di vietare le recensioni fino ad un mese dall’uscita sul mercato di un determinato titolo; proposta volutamente provocatoria ma che può in qualche modo dare il polso della situazione attuale del mercato, indifferentemente che si parli di pc o di console.

Dall’altro si potrebbe rendere più sinergica la collaborazione fra sviluppatori e giornalisti, lasciando che i primi possano spiegare con dovizia di particolari i loro sforzi, fornendo il materiale a chi dovrà giudicare il proprio lavoro con le dovute tempistiche, mentre i secondi vengano formati con le giuste metodologie, evitando che il semplice fattore emotivo determini il lascito recensorio che verrà preso in mano dal lettore di turno.

Una formazione di sistema e di metodo, che vada aldilà del semplice binomio “mi piace/non mi piace” e che abbia tutto quegli strumenti metodologici e didattici che permettono di valutare con vera cognizione di causa il videogioco di turno.

D’altronde uno dei problemi naturali dell’attuale critica videoludica, soprattutto in Italia, è proprio la mancanza generica di competenze in una realtà dove i veri professionisti si contano sulle dita di una mano e gli abili faccendieri (fra cui mi annovero, senza l’aggettivo “abile” ovviamente) sono presenti ad ogni angolo, virtuale e non, con l’immeritata possibilità di spostare l’ago della bilancia di cui parlavo in apertura.

Come ho cercato sinteticamente di esporre, la problematica è comunque ampia e presenta diversi punti delicati, difficili da trattare in questo che vuole essere un primo sguardo a volo di uccello su territori spesso inesplorati o spesso volutamente ignorati per esigenze economiche.

Se e come esploreremo questa “nuova frontiera” dipende anche da voi.

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