Il (video)gioco di Ender
Ender tra realtà e fantasia
E’ capitato a tutti. Inutile negarlo. Nella vita videoludica di ciascuno di noi, almeno una volta sarà balenata, anche solo per un attimo, l’impressione che tutte le azioni intraprese in un videogame avessero effetto su di un mondo non virtuale ma reale. Fantasie di una mente deviata, certo. Ma fantasie che hanno influenzato film come Tron, in cui quelli che sembravano essere anonimi personaggi di un videogioco al di qua dello schermo, erano al di là dello schermo, personaggi reali con una propria vita ed una propria personalità. Certo stiamo parlando di tempi in cui al computer ed ai videogame era associato il concetto di entità quasi magica, ma l’idea è perdurata sino ai giorni nostri ed è stata “rivisitata” in chiave moderna in un film recente: Ender’s Game (2013). Diciamo subito che il film è tratto dal famoso romanzo di Orson Scott Card del 1985. L’anno di uscita del romanzo ha una grande importanza simbolica. Proprio in quell’anno l’informatica (e quindi il mondo dei computer e dei videogame) iniziava ad essere “personale”. Il computer stava entrando in ogni casa perdendo, quindi, la sua natura di “oggetto magico” per trasformarsi in semplice “strumento”. Il genio di Orson Scott Card fu proprio quello di percepire questo cambiamento. Sino ad allora, sia nella letteratura che sopratutto nella cinematografia, il computer era visto come un qualcosa di malvagio o negativo dotato di una coscienza propria atta ad autodeterminarsi per cercare, prima o poi, di prevalere sull’uomo. Questo perché siamo umani ed abbiamo la curiosa tendenza ad avere paura di ciò che non conosciamo a fondo. Invito tutti i lettori, se non l’avessero già fatto, ad ascoltarsi l’ultima puntata della scorsa stagione di Archeologia Informatica; in cui i nostri Simone Pizzi e Luigi Marrone dissertano sul connubio Cinema e Computer. Quel che ne viene fuori è proprio questa marcata “aura negativa” che ha da sempre avvolto, non solo per esigenze di copione, i computer. Il film Ender’s Game non è ai livelli del libro pur non essendo affatto malaccio. Nel cast sono presenti Han So… scusate Harrison Ford e Ben Kingsley, mentre proprio Orson Scott Card è produttore ed (in parte) sceneggiatore. Ma non sono qui per fare il critico cinematografico, bensì vorrei rimarcare quattro interessanti spunti che mi sono venuti in mente mentre guardavo il film. Se non avete ancora visto il film o letto il libro, e non volete rovinarvi la sorpresa, interrompete la lettura dell’articolo, guardatevi il film e ritornate a leggerlo solo dopo, perché sto per svelarvi parte della trama.
SPUNTO 1 – Il cambiamento del concetto di videogiocatore
Il protagonista del film (libro) è un ragazzino di nome Ender (la scelta del nome è profetica). Siamo in un mondo futuro in cui i videogiocatori, essendo dotati di riflessi sviluppati, tempi decisionali rapidi, menti aperte al cambiamento, superiori capacità di adattamento alle situazioni, capacità di risolvere i problemi in tempo reale e predisposizione al multitasking, sono considerati come la più grande risorsa dell’umanità. I migliori sono reclutati dai militari ed iniziati all’arte della guerra per diventare menti strategiche eccelse in grado di guidare e coordinare le flotte terrestri in battaglia. Il concetto ricorda vagamente il film “The Last Starfighter” in cui i migliori piloti della galassia erano valutati e reclutati attraverso un videogioco.
Comprendete il mio spiazzamento iniziale? L’icona del videogiocatore non è più quella dell’apatico nerd occhialuto e sovrappeso ma diventa quella di una mente superiore cazzuta come uno Space Marine.
Iconografia a parte, finalmente il cinema ha recepito il cambiamento del concetto di computer e di videogioco previsto da Orson Scott Card. Il videogioco è solo un mezzo con nessun concetto negativo intrinseco. Da citare, come ancora nel 2011, i videogiochi non vengano considerati un esempio di “purezza”. Il film “Gamer” interpretato da “Re Leonida” Butler ci consegna un futuro in cui, videogiocatori cinici ed annoiati, videocomandano in stile FPS dei detenuti tramite un chip impiantato nel cervello in un cruento death match con persone vere.
SPUNTO 2 – Orson Scott Card ha inventato “Command&Conquer”
Anche questo è abbastanza sorprendente. All’atto pratico il simulatore su cui, gli aspiranti super-strateghi si allenano, non è altro che un mega RTS. Ender comanda tutte le astronavi della flotta utilizzando un visuale tattica 3D del tutto simile a quelle che siamo abituati ad usare negli RTS moderni. Il libro, ricordo, è del 1985. Nulla di simile era stato ancora concepito.
SPUNTO 3 – Sceneggiatori copioni?
A mio modesto parere, la Sierra potrebbe citare per plagio gli sceneggiatori di Ender’s Game. Avete presente quel capolavoro assoluto che è stato l’RTS fantascientifico Homeworld? Bene. Il film copia pari pari il design delle astronavi (sia navi madri che caccia stellari) di Homeworld. Perfino i patterns di attacco e di formazione delle navi sono gli stessi. In una scena si vede Ender mentre ordina ad una nave madre lancia droni di espellere i droni e di far assumere agli stessi una formazione “a sfera”. Mentre alcune navi da combattimento, assumono una formazione a cuneo per attaccare il pianeta alieno e nel contempo proteggere la nave ammiraglia con a bordo la super arma di distruzione. Esattamente la stesse tattiche che si usavano in Homeworld.
SPUNTO 4 – Il colpo di scena spiazzante
Ender è il più dotato dei videogiocatori. Sarà lui, in caso dovesse superare la simulazione finale, ad assumere il comando della flotta per condurre il vero attacco. Ma ad Ender questo destino non piace. Premeditatamente, nell’ultima simulazione, utilizza tattiche ardite che causano ingentissime perdite alla flotta terrestre. Con ferocia non si limita a vincere la battaglia ma si spinge fino alla distruzione totale del pianeta natale del nemico, nella speranza che questo suo comportamento lo renda, agli occhi degli alti papaveri, inadatto al comando. Finita la simulazione, dopo lo stupore iniziale dei generali, parte una ovazione. Ender inizia a realizzare. Quella che lui credeva essere una simulazione era una battaglia vera. Migliaia di esseri erano morti realmente, non era un gioco. Aveva sulla coscienza l’estinzione di una razza intera. Da videogiocatori, provate ad immedesimarvi nei panni del povero Ender. Uccidere realmente mentre si gioca. Scioccante. Ma se ci pensiamo bene la realtà ci sta portando molto, forse troppo, vicini alla fantasia. I moderni droni militati, comandati da remoto da tizi seduti a decine di chilometri di distanza che li conducono come se stessero giocando ad un simulatore di volo. Né più, né meno. Schiacci il bottone, parte il missile. Ma non stai giocando ad Ace Combat. Quel carro armato che hai appena distrutto conteneva 6 persone di equipaggio. Persone vere. E’ l’efficace strategia della “astrazione della guerra” già utilizzata dagli Inglesi nel conflitto della Falkland. Dove i SAS britannici erano stati addestrati da anni ad uccidere da lunghe distanze sparando alle sagome. Come riferito da uno dei veterani : “Durante le battaglie eravamo in trance, non eravamo consapevoli realmente di uccidere esseri umani, nelle nostre menti stavamo sparando a delle sagome assumendo la posizione A1 del manuale di guerra”.
Il nemico principale dei generali, infatti, è la riluttanza dei soldati ad uccidere altri esseri umani in battaglia. E’ scientificamente dimostrato che nella battaglie il 90% dei colpi è volontariamente indirizzato lontano dal bersaglio. Con la guerra a distanza questo problema è risolto. Ti fanno pensare che non stia morendo nessuno. Stai solo videogiocando. Altra triste faccia del problema è l’FPS America’s Army giunto al 3° capitolo. Il videogioco è sviluppato dall’esercito americano, con il neppur celato intento di effettuare proselitismo per l’arruolamento nei ranghi militari statunitensi. In pratica un videogioco cavallo di troia, peraltro gratuito e quindi alla portata di tutti. Ragazzini vedete come è figo essere un fante americano? Arruolatevi! Nauseante come un pedofilo che adesca i ragazzini con le caramelle. Non mi stancherò mai di ripeterlo, i videogiochi sono un strumento per soddisfare il bisogno innato dell’uomo di giocare. Sono l’estrema evoluzione dei giochi che furono come le biglie, guardie e ladri, il nascondino. Chiunque gli utilizzi per scopi diversi e nocivi non si potrà sottrarre alle mie imperiture invettive. Perfino quel lungimirante genio Orson Scott Card non avrebbe potuto prevedere questa inquietante deriva.